Salumi e sale: una storia in evoluzione

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La salagione è uno de principali modi con cui, fin dall’antichità, l’uomo è riuscito ad “allungare la vita” agli alimenti di cui disponeva, per potersene cibare più a lungo o per farne scorta nell’eventualità di tempi più magri.

Da solo o combinato ad altre tecniche di conservazione – come la cottura, l’affumicatura o la fermentazione – l’uso del sale ha di fatto generato una parte consistente degli alimenti che popolano ancora oggi i nostri supermercati, dai formaggi al baccalà, dalle acciughe ai capperi sotto sale, dalle verdure in salamoia ai salumi.

Salumi che, quindi, non possono non contenere sale: ne andrebbe della loro conservabilità.

Tipologie diverse hanno tuttavia necessità diverse per quanto riguarda il contenuto di sale: se sono co-presenti altre tecniche di conservazione, ne potranno bastare quantitativi inferiori.

Per questo motivo, ad esempio, i salumi cotti hanno in generale un tenore di sale largamente inferiore rispetto a quelli crudi, e quelli affumicati sono un po’ meno salati di quelli non affumicati.

E per gli altri? Come hanno affrontato i salumi crudi, e magari non affumicati, la tematica del contenuto di sale?

Lo hanno affrontata facendo leva sui progressi tecnologici, che hanno permesso a tutti i salumi – ma a quelli più salati in particolare – di ottenere, negli ultimi decenni, una benvenuta riduzione di sale nel prodotto finito, senza dover per questo venire a compromessi né con il gusto, né con gli aspetti più tradizionali della produzione di questi alimenti.

I salumi DOP e IGP continuano infatti – come devono – a rispettare i disciplinari di produzione che li riguardano, ovvero quei documenti ufficiali che tutelano tutte le caratteristiche peculiari di quello specifico prodotto, dall’origine delle materie prime alla lista degli ingredienti alle modalità di lavorazione. Solo in questo modo, infatti, il prodotto finale non tradirà le nostre attese, in linea con la tradizione.

Qualche esempio? Se trent’anni fa ogni porzione (50 g) di prosciutto crudo San Daniele DOP conteneva circa 3,5 g di sale, oggi ne contiene mediamente 2,25: una riduzione di oltre un terzo. 

Tra i salumi cotti, il gusto della mortadella di Bologna IGP ci costava negli Anni ’90 1,5 g di sale per porzione (sempre 50 g, che è la porzione standard per tutti i salumi), mentre oggi siamo scesi a circa 1,2: un quinto in meno.

In generale, la riduzione che è stata possibile compiere – abbracciando le nuove conoscenze e impegnandosi ad adattare concordemente i processi produttivi – è stata tra il 4% e il 45% a seconda del salume: in qualche caso, quindi, si è arrivati a poterne mettere quasi la metà.

Questo naturalmente non ci dispensa dal far attenzione a come introduciamo questi alimenti nelle nostre abitudini a tavola, ma ci permette in molti casi di concludere la giornata senza eccedere nell’apporto di sale, se ci gestiamo adeguatamente nel resto dei pasti.


Dati dell’indagine alimentare condotta nel 2011 dall’Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione (INRAN, ora CRA-NUT) e dalla Stazione Sperimentale Industria Conserve Alimentari di Parma (SSICA).

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